Milano: Il Padre del ragazzo accoltellato non ci sentiamo sicuri mio figlio poteva morire

Novembre 21, 2025
3 minuti di lettura
Milano: Il Padre del ragazzo accoltellato

MILANO – Torna al centro del dibattito sulla sicurezza urbana dopo la brutale aggressione avvenuta nei giorni scorsi, in cui un giovane è stato accoltellato da due diciottenni durante un episodio che la Procura definisce “di estrema gravità”. A parlare pubblicamente è ora il padre della vittima, che nel corso della trasmissione Dentro la notizia su Canale 5 ha raccontato con voce spezzata non solo le condizioni attuali del figlio, ma anche il clima che, a suo avviso, si respira nel capoluogo lombardo. Un clima che definisce “allucinante”, al punto da sostenere che “a Milano ormai non si può più camminare”.

Le sue parole, pronunciate davanti alle telecamere, non sono soltanto lo sfogo di un genitore ferito e impaurito, ma diventano un simbolo della preoccupazione diffusa tra molti cittadini.

Il racconto del padre: “È vivo per miracolo”

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Ha assistito ai cambiamenti della città, alle trasformazioni urbane, alle evoluzioni sociali e culturali che hanno caratterizzato il capoluogo lombardo. Ma, sostiene, mai aveva visto una situazione come quella degli ultimi tre anni. “Vivo a Milano da da tanti anni e non l’ho mai vista come negli ultimi tre”, ribadisce. Per lui la città è diventata ostile, meno sicura, e l’aggressione subita dal figlio sembra aver cristallizzato in modo drammatico questa percezione.

Il giovane, racconta, “è vivo per miracolo”: una frase che colpisce come un pugno nello stomaco. Il padre ricorda l’arrivo del figlio in ospedale, con una grave perdita di sangue. “È arrivato in ospedale con un litro di sangue. È vivo perché era a 500 metri, sennò sarebbe morto”. Una distanza, quella dal luogo dell’aggressione al pronto soccorso, che ha fatto la differenza tra la vita e la morte. Secondo la ricostruzione degli investigatori, le coltellate inferte avrebbero potuto essere letali se i soccorsi non fossero stati immediati.

Il padre non punta il dito solo contro i due aggressori, ma anche contro ciò che percepisce come un clima urbano sempre più degradato. Il suo sfogo trova eco in una parte della cittadinanza che invoca interventi più incisivi da parte dell’amministrazione comunale e delle forze dell’ordine, mentre un’altra parte della città invita a mantenere i toni più equilibrati e a evitare allarmismi generalizzati. Ma, al di là del dibattito politico, il racconto di un genitore che ha rischiato di perdere un figlio non può lasciare indifferenti.

Le pene previste: dai 10 ai 21 anni di reclusione

Le prospettive giudiziarie per i due diciottenni sono tutt’altro che marginali. Secondo quanto previsto, nel caso in cui optassero per il rito abbreviato — che prevede uno sconto di un terzo della pena — rischierebbero tra i 10 e i 14 anni di reclusione. Se invece il processo si svolgerà con rito ordinario, le pene potrebbero aumentare sensibilmente: tra 14 e 21 anni.

La Procura considera la vicenda un esempio emblematico di una dinamica sempre più frequente: gruppi di giovani, spesso giovanissimi, che agiscono in branco, con violenza improvvisa e modalità che ricordano episodi di microcriminalità urbana diffusi nelle grandi metropoli. In questo caso, l’ipotesi di un concorso con minori sottolinea la presenza di adolescenti più piccoli, forse coinvolti per “fare numero”, o forse spinti da dinamiche di gruppo ancora tutte da chiarire.

Una città sotto osservazione

L’aggressione si inserisce in un momento delicato per Milano, che negli ultimi mesi è stata spesso protagonista di fatti di cronaca legati a rapine, aggressioni e risse. Le statistiche ufficiali raccontano una realtà complessa, in cui i reati contro la persona e il patrimonio mostrano oscillazioni da leggere con attenzione e contesto, ma ciò che sembra emergere con forza è il tema della percezione della sicurezza. E quest’ultima non sempre coincide con i dati.

Il nodo del disagio giovanile e della violenza in gruppo

La Procura, in casi come questi, non si limita a perseguire i singoli responsabili, ma cerca anche di leggere fenomeni più ampi: l’aggregazione giovanile violenta, la gestione del tempo libero nei luoghi pubblici, la diffusione di coltelli e oggetti atti a offendere, l’imitazione di modelli sociali e culturali che esaltano la forza e la sopraffazione.

Episodi in cui giovani, talvolta appena maggiorenni, sferrano colpi alle spalle o agiscono in gruppo senza apparente remora fanno riflettere anche su questioni educative, familiari e sociali. Non è raro che i magistrati, nelle loro ordinanze, parlino di “perdita di empatia”, “banalizzazione della violenza” o “assenza di percezione del rischio”.

La ferita di una famiglia e le domande di una città

Per la famiglia della vittima, però, oltre ai ragionamenti sociologici resta il dolore concreto. Il padre non cerca vendetta nelle sue parole, ma invoca sicurezza. Chiede che quanto accaduto a suo figlio non accada ad altri. La sua testimonianza, diffusa dalla televisione, ha suscitato forti reazioni: c’è chi la giudica eccessiva, chi la ritiene invece lo specchio fedele di ciò che si vive nelle strade. In ogni caso, difficilmente lascerà indifferenti le istituzioni.

Per ora resta il sollievo di un padre: suo figlio è vivo. “Per miracolo”, ripete. Ma resta anche la paura. E la sensazione, amara, che qualcosa si sia incrinato nel rapporto tra i cittadini e la loro città.

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